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GEREMIA RE, DA LEVERANO ALLA BATTAGLIA DEL PIAVE

Geremia Re è nato a Leverano nel 1894: madre casalinga, padre sarto, primogenito di sei figli. I suoi genitori avrebbero voluto che seguisse l’arte del padre: perciò, con non pochi sacrifici, a soli sedici anni lo mandarono a Roma, affinché potesse frequentare un corso di sartoria femminile. Nella capitale, però, il ragazzo comincerà a visitare gallerie, mostre e musei: su tutte, l’”Esposizione Internazionale d’Arte” del 1911; e ne approfitterà per imparare a dipingere e disegnare, le sue grandi passioni sin da piccolo. Un suo maestro sarto, appassionato d’arte, gli acquista i piccoli quadri che dipinge, permettendogli il sostentamento nella capitale; finalmente, nel 1912, riesce a convincere i genitori e s’iscrive al Regio Istituto Superiore di Belle Arti di Roma, dove conseguirà il diploma quattro anni dopo. Fino al 1917, frequenterà anche un corso di decorazione murale, un corso libero di nudo, nonché i corsi speciali di pittura dell’Accademia Albertina di Torino, grazie ad un provvedimento concesso agli studenti universitari nel periodo della Prima Guerra Mondiale, a cui prenderà parte, ritrovandosi a vivere la battaglia del Piave e la presa di Gorizia, dopo la quale verrà inviato in congedo a Tarvisio. Tornerà a Leverano nel 1921, iniziando la carriera d’insegnante di “Decorazione Pittorica e Murale” e di “Disegno di figura” presso la Regia Scuola Artistica Industriale “G. Pellegrino” di Lecce. Nel frattempo, prende parte a diverse iniziative espositive, a carattere nazionale e regionale. Nel 1919, è a Torino, dove partecipa alla mostra “Amici dell’Arte”; l’anno successivo, espone anche a Roma. Nel 1921 espone per la prima volta a Lecce; seguirà, nel 1922, la mostra curata dall’Associazione della Stampa; esporrà nel Salento anche nel 1923 e, poi, nel 1925, prenderà parte alla terza edizione della Biennale di Gallipoli; sempre a Lecce, nel 1931, esporrà al Circolo del Littorio. Altre mostre a Roma: nel 1921 e nel 1925, partecipa alla prima e alla terza edizione della “Biennale Romana”, mentre, nel 1932, esporrà i suoi lavori alla “Mostra del Sindacato Laziale”. In questi anni comincia la frequentazione assidua della famiglia della fidanzata Concetta Mercedes Savina, ritraendola in diversi lavori, così come farà anche con la sorella e con la madre. Nel 1926, dopo il matrimonio, si trasferisce a Lecce, dove, nel frattempo, è stato nominato professore alla Scuola Statale d’Arte (qui, tra gli allievi, avrà anche Mino Delle Site, pittore e scultore); tra l’altro, stringerà un’intensa amicizia con il segretario dell’istituto stesso, Francesco Fanciano: uno dei figli di Geremia Re, Ennio, sposerà Teresa, secondogenita di Francesco, nel 1958 (sia Geremia Re, sia Francesco Fanciano erano, però, deceduti da diversi anni). Due anni dopo, si reca a Parigi: per alcuni mesi seguirà da vicino i movimenti artistici europei: visiterà il “Louvre” e conoscerà le opere di vari artisti francesi ed europei, da Braque a Carrà, da Cezanne a Modigliani, da Matisse a Picasso e Renoir.
Morirà nel gennaio del 1950, per un attacco di angina. Pochi mesi prima, aveva dipinto “La Commedia Umana”, il grande pannello collocato nella sala d’ingresso dell’“Ariston” di Lecce; lo stesso architetto che aveva progettato il teatro leccese avrebbe voluto commissionargli un altro pannello per il nuovo Palazzo della Borsa di Roma.
Com’è noto, Geremia Re prese parte attiva alla Grande Guerra: il suo spirito patriottico e “interventista” è testimoniato da una lettera pubblicata sulla prima pagina de “La Provincia di Lecce” del 10 Ottobre 1915; il giornale è conservato all’interno dell’”Emeroteca Storica Salentina”, uno dei fondi più importanti della Biblioteca “N. Bernardini” di Lecce.
All’interno della rubrica “I nostri soldati al fronte – Lettere, saluti, episodii ed auguri”, viene pubblicata la lettera che, il 6 ottobre 1915, O. Valentini invia da Roma a Nicola Bernardini, direttore de “La Provincia di Lecce” (nonché futuro direttore della Biblioteca, che, a lui, sarà successivamente intitolata). “Caro Nicola”, esordisce l’estensore, “Un mio giovine e caro amico, il ventiduenne Geremia Re da Leverano, mi ha inviato giorni or sono una lettera che ti prego di pubblicare per dimostrare ai pochi timidi appositori della nostra santa guerra, l’entusiasmo del popolo per la Patria, del popolo vero che vive, ‘lontano da cittadi’, nei villaggi, dove il sentimento patriottico è più puro”.
Geremia Re è una vera promessa per l’arte pittorica”, continua Valentini. “Ha frequentato per tre anni l’Istituto di Belle Arti di Roma, riportando la più alta gradazione di punti fra i suoi colleghi, nei varii corsi. Ora è per partir soldato, ed è lieto di andare a fare il suo dovere”. Nella lettera all’amico salentino, O. Valentini non nasconde che “quando, lo scorso anno, l’Italia non era in conflitto con l’Austria, allo scopo di conservarsi allo studio iniziato con tanta passione e con vero plauso, egli cercò di superare l’obbligo di leva facendosi dichiarare ‘rivedibile’”. Scoppiata la guerra”, continua O. Valentini. “egli sentì che al di sopra dell’amore per l’Arte vi era l’amor della Patria”. Infatti, “ai suoi compagni di corso cui era abituato dire : ‘A rivederci a scuola’; lo scorso giugno, quando Roma rigurgitava di soldati d’ogni regione e d’ogni età, disse: – ‘A rivederci al fronte; a scuola ci vedremo dopo la vittoria’”.
Poi”, ricorda O. Valentini, “venne a licenziarsi da me che gli faccio da padre, e mi disse il suo proposito; lo baciai e gli risposi: ‘Bravo, parti. L’arte vive meglio quando la Patria è feliceNella lettera inviata a Nicola Bernardini, Valentini sottolinea che “più volte il caro amico mi ha scritto per dirmi che aspettava anelante il momento della chiamata per offrire il suo petto. E tutte le volte l’ho benedetto”.
Prosegue O. Valentini: “Ora, il 27 settembre, mi ha scritto: ‘Ho già passata la visita e sono stato riconosciuto idoneo al servizio militare. Non so però quando si parte. Si dice verso la fine di ottobre. Partirà con me anche mio fratello Davide, non che il più piccolo di tutti, Salomone, che si arruola nella marina di guerra. La mia casa si spoglia. Non fa nulla quando si tratta della Patria. Mio padre, poveretto, è rassegnatissimo e mia madre ha detto soltanto: “Sia fatta la volontà di Dio!”. Hanno pianto, piangeranno ancora, poi ci benediranno e noi partiremo rinvigoriti dalle loro lagrime. Nel mio paesello vi sono stati 146 soldati: solo una ventina sono rivedibili. Pure essendo passato il primo entusiasmo, regna ancora una gioia insolita. Ognuno di noi non vede l’ora di partire. Anche qui abbiamo avuto i nostri morti per la Patria! Ad essi io avevo dedicato lo studio in creta di una medaglia commemorativa che non ho potuto formare perché non ho trovato gesso neppure a Lecce. L’idea che mi ha spinto al lavoro, che ho sfasciato ma che potrei ripetere, è semplicissima. Due mani stilizzate che si elevano al cielo dopo avere spezzato le catene del servaggio austriaco e che salutano lo stellone d’Italia che ha portato la luce della liberazione. Vorrei poter disporre di un biglietto ferroviario per venire a Roma e salutarlo e ringraziarlo ancora una volta di quanto ha fatto per me. Non potendo, le mando gli ossequi più distinti dei miei genitori, e di tutta la mia famiglia e i miei specialissimi – Intanto mi creda pel suo gratissimo    Geremia Re    Leverano 27 settembre 1915”.

Valentini, nelle sue parole indirizzate a Nicola Bernardini, aggiunge: “Queste poche righe di Geremia Re, giovane di puri sentimenti, dicano ai pochi pacifisti internazionali della Terra d’Otranto, che il popolo salentino è per la guerra di redenzione”. “Geremia Re”, rileva O. Valentini, “nel suo ingenuo lirismo, ha voluto rappresentare scultoriamente l’anima del popolo, in mezzo al quale vive nella sua Leverano, con due mani che dopo avere spezzato le catene della schiavitù s’innalzano purificate nella luce della liberazione”. E finisce: “Ed anche questa rappresentazione sia risposta e monito a coloro che nulla offrono alla Patria”.

Geremia Re morirà il 13 gennaio 1950, a cinquantaquattro anni. Così Vittorio Pagano raccontò il corteo funebre che accompagnò l’artista al cimitero di Leverano: “Non ci furono croci dietro la sua salma indosso alla quale era stata trovata una tessera di iscrizione al PCI. I religiosi non si ricordarono di Dante e di Manfredi, e questa è dolorosa cronaca dei nostri tempi, una cronaca dell’Anno Santo”. “Ma c’era, fra gli accompagnatori”, come ricorda Pagano, “un frate francescano, pittore valorosissimo come Geremia Re”.