Poche le cancellazioni dal Registro imprese, a fronte di un numero maggiore di nuove iscrizioni. In provincia di Lecce, si contano 74.792 aziende, di cui 64.691 attive. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio economico Aforisma.
Nonostante l’emergenza sanitaria innescata dal Covid-19, le aperture di nuove attività superano le chiusure. Nel corso del 2020, si sono registrate più imprese di quante se ne siano cancellate. Il saldo della nati-mortalità delle attività economiche resta positivo nel Salento: ne sono state aperte 4.452 e cancellate 3.928 sul totale di quelle registrate.
Lo studio prende in esame tutte le imprese registrate e quelle attive (cioè quelle iscritte in Camera di Commercio, che esercitano l’attività e non risultano avere procedure concorsuali in atto, come sotto-insieme dello stock totale di quelle registrate).
«Gli ingranaggi dell’economia continuano a procedere a velocità diverse», spiega Davide Stasi, responsabile dell’Osservatorio Economico Aforisma. «Non tutti i settori arretrano e non tutti i territori registrano un saldo negativo delle imprese e degli addetti. Uno dei motivi di questa maggiore resilienza è stato l’effetto sortito dalle diverse forme di sussidio, tra bonus, ristori, contributi a fondo perduto e finanziamenti con garanzia pubblica, a beneficio di ditte individuali, lavoratori autonomi, liberi professionisti, società di persone e di capitali, cooperative e consorzi che hanno tamponato la temuta emorragia di imprese. Ma non solo – aggiunge Stasi – perché non possiamo ritenere molto attendibile il raffronto tra il fatturato del 2020 con quelli realizzati negli anni precedenti e la pandemia rappresenta uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”. Il fatturato delle imprese rimaste chiuse durante il lockdown, infatti, non è stato realizzato nel corso dell’intero anno, cioè in 12 mesi, ma solo in 8-9 mesi, neppure continuativi, a causa delle limitazioni imposte per poter contenere la diffusione del Coronavirus. Con la riapertura estiva sono incrementate sia le entrate che le uscite, per poi diminuire nuovamente e progressivamente, a partire da metà autunno. I parametri da tenere in maggiore considerazione – sottolinea Stasi – sono ricavi e costi. Se la produzione è ferma, i costi variabili saranno pari a zero. Più aumenta la produzione e più aumentano i costi in modo proporzionale. Le aziende maggiormente penalizzate (dai decreti del lockdown e delle zone “a colori”) hanno registrato un calo più o meno marcato del loro fatturato, in relazione ai periodi delle restrizioni, ma contemporaneamente si sono abbassati i costi variabili».
Questo la variazione delle imprese attive dal 31 dicembre 2019 al 31 dicembre 2020: le costruzioni +181 unità (da 9.368 a 9.549); l’agricoltura +145 (da 8.984 a 9.129); le attività professionali, scientifiche e tecniche +101 (da 1.614 a 1.715); le attività immobiliari +44 (da 1.075 a 1.119); il noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese +40 (da 1.753 a 1.793); le attività dei servizi alloggio e ristorazione +28 (da 5.497 a 5.525); i servizi di informazione e comunicazione +28 (da 1.057 a 1.085); le attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento +20 (da 975 a 995); le attività finanziarie e assicurative +17 (da 1.206 a 1.223); l’istruzione +17 (da 351 a 368); la sanità e l’assistenza sociale +13 (da 671 a 684); il trasporto e magazzinaggio +10 (da 1.099 a 1.109). In fondo alla classifica, le attività manifatturiere -55 (da 5.514 a 5.459) e il commercio -109 (da 21.279 a 21.170).